Regione: Italia
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Diritti civili

Pandemia: appello in difesa della libertà dei cittadini e dei diritti dei lavoratori

Firmatorio non aperto al pubblico
La petizione va a
società civile
187 Supporto

Il firmatario non ha presentato/depositato la petizione.

187 Supporto

Il firmatario non ha presentato/depositato la petizione.

  1. Iniziato 2020
  2. Raccolta voti terminata
  3. Presentata
  4. Dialogo
  5. Mancate

La tenuta di un regime non si misura dalla sua forza, ma dalla capacità di reazione di un popolo.

I cittadini di tutto il mondo hanno visto troppo a lungo sospese le loro libertà individuali e una recrudescenza della pandemia potrebbe portare, nei prossimi mesi, a replicare le misure di contenimento sanitario, magari in modi ancor più stringenti di quelli fin qui imposti, o ad estenderle a tempo indefinito: molti governi vorrebbero difatti “standardizzare”, riproporre o protrarre le attuali misure emergenziali, col rischio concreto che le restrizioni fin qui patite (un precedente già di per sé pericoloso) divengano alla fine permanenti.

Ciò andrebbe a scapito della libertà dei singoli, come denunciato da Mario Vargas Llosa, premio Nobel per la letteratura, in un manifesto sottoscritto da politici e intellettuali di ventitré differenti paesi (Que la pandemia no sea un pretexto para el autoritarismo), e da dieci grandi pensatori globali (James Crabtree, Robert D. Kaplan, Robert Muggah, Kumi Naidoo, Shannon K. O’Neil, Adam Posen, Kenneth Roth, Bruce Schneier, Stephen M. Walt, Alezandra Wrage (How the Coronavirus Pandemic Will Permanently Expand Government Powers, https://foreignpolicy.com, 16 maggio 2020).

I futuri sviluppi dell’attuale situazione non lasciano dunque ben sperare. Nei mesi dell’emergenza, anche per evitare contrapposizioni tra “chiusisti” (“tenere tutto chiuso e tutti chiusi, dappertutto”) e “riaperturisti” (“riaprire tutto e far uscire tutti, dappertutto”) il cui effetto ultimo è di deresponsabilizzare i cittadini, sarebbe stato necessario, da parte dei diversi Governi, procedere ragionevolmente, zona per zona, fascia per fascia, proteggendo le aree e le persone più a rischio ma allentando via via le misure di contenimento, con le dovute cautele e protezioni per sé e per gli altri, per le aree e le persone meno a rischio. Uno statalismo accentratore che pretenda invece di adottare drastiche e indifferenziate misure di restrizione, opponendo la tutela della vita delle persone, in quanto diritto assoluto e innegoziabile, sia alla libertà dei singoli sia al dialogo e alla collaborazione con le amministrazioni regionali, oltre alle pesanti responsabilità di cui potrebbe dover rispondere in futuro per l’incremento di disparità e disuguaglianze già ora inaccettabili, affossa di fatto chi vorrebbe proteggere, i lavoratori e le persone più deboli e meno tutelate (laddove la grande industria e la grande finanza ne escono con pochi danni, quando non addirittura rafforzate). Un osservatorio sui “suicidi per motivazioni economiche” (Link Campus University) ha contato in Italia dall’inizio del 2020, rispetto ai 14 registrati nel 2019 per lo stesso periodo, ben 42 suicidi: 25 durante la fase di “reclusione forzata” (14 vittime fra gli imprenditori), 16 nel solo mese di aprile. Queste cifre, già di per sé drammatiche, diventano ancor più preoccupanti se, al numero dei suicidi, aggiungiamo quello dei tentati suicidi: 36 dall’inizio dell’anno, 21 nelle sole settimane di sospensione del movimento delle persone e di confinamento nelle proprie abitazioni.

Uno Stato che fondi il suo rapporto coi cittadini su reiterati obblighi e divieti contiene e alimenta in sé il germe di quell’autoritarismo che in situazioni di paura, stress e privazione delle libertà individuali, oltreché di prolungato distanziamento sociale, finisce per tradursi molto rapidamente in comportamenti individuali e collettivi che possono portare a una regressione nella coesione sociale e nei rapporti interpersonali, ingredienti fondamentali di una democrazia. Di tutto ciò si sono già manifestati i primi segnali, come la delazione dei propri vicini, l’individuazione di un potenziale untore in chi faccia anche solo un po’ di moto o le reprimende per le troppe persone a passeggio. Quel che sta avvenendo, per non dover richiamare i soliti scenari orwelliani, pare confermare un ben noto esperimento sull’obbedienza all’autorità compiuto, negli anni Sessanta del secolo scorso, dallo psicologo americano Stanley Milgram: chi esercita il suo potere, a forza di decreti (e, in cascata, di ordinanze regionali e comunali), fa passare la libertà per una concessione.

Motivazioni:

Il limite, pur di fronteggiare con tutti i mezzi l’emergenza sanitaria, è già stato superato e, se dovesse essere oltrepassato di nuovo, metterebbe seriamente a rischio i valori che hanno portato alla faticosa ricostruzione, nel secondo ’900, delle società occidentali per come attualmente le conosciamo. La storia insegna che la democrazia è simile a una pianta: va costantemente curata e innaffiata, altrimenti appassisce. Il nostro vuol essere dunque, innanzi tutto, un appello in difesa della democrazia e dei suoi valori contro il pericolo più grande: il riemergere, con il pretesto dell’emergenza sanitaria, in un’Italia e in un’Europa travolte dall’ondata di panico e paralizzate dalla paura, di un pensiero totalitario che abbiamo sperato di esserci lasciati definitivamente alle spalle e che potrebbe invece ripresentarsi, in futuro, con nuovi mezzi e sotto nuove forme. Sarebbe allora troppo tardi per fare qualcosa.

La tutela della salute collettiva è un valore supremo, ma le limitazioni alla libertà individuale comportate dal diritto alla salute devono essere proporzionate all’entità del fattore di rischio.

Pensare di poter adottare ogni volta misure di contenimento sanitario estese all'intero paese, senza una seria politica di prevenzione e a forza di decreti, potrebbe finire per provocare conseguenze economiche e sociali ancor più gravi e destabilizzanti delle attuali e innescare pericolose derive autoritarie. Ciò si aggiungerebbe ai già drammatici effetti della prolungata interruzione di rapporti familiari e relazioni sociali e di ormai quotidiane paure collettive, sempre più interiorizzate, generatrici di panico.

Primi firmatari:

Massimo Arcangeli, linguista Mauro Tonino, scrittore Angelo d’Orsi, docente universitario Antonello Sannino, attivista Anna Angelucci, insegnante Franco Bolelli, filosofo e scrittore Gianfranco Marrone, docente universitario Simona Mambrini, traduttrice Giuseppe O. Longo, docente universitario e scrittore Tommaso Cerno, parlamentare e giornalista Giordano Bruno Guerri, storico e saggista Lucrezia Ercoli, filosofa Massimo Onofri, docente universitario Francesca Mazzucato, scrittrice Stefano Moriggi, docente universitario Leonardo Maria Savoia, docente universitario Lello Voce, poeta Amara Lakhous, scrittore Stefano Arduini, docente universitario Diego Fusaro, docente universitario Massimiliano Bellavista, docente universitario e scrittore Max Manfredi, cantautore e scrittore Vanni Codeluppi, docente universitario Antonella Arduini, attrice Luigi De Simone, imprenditore Francesca Bertuzzi, scrittrice Gioacchino Onorati, editore Leonardo Pignataro, traduttore Mario Romano, avvocato Alessandra Guigoni, antropologa e blogger Oliviero Malaspina, cantautore e scrittore Gian Stefano Spoto, giornalista

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